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Immigrato per un giorno.

Sveglia alle 5. Caffè, torta secca vecchia di due giorni. Giacca, berretto, cuffie. Fuori nel gelo mattutino. E’ Febbraio e inspiegabilmente è più freddo di Gennaio. Il vento è il problema, se non fosse per il vento si starebbe anche dignitosamente. Cammino veloce alla porta del mio studentato alla fermata della metro. Non aspetto la metro. A Vienna non aspetti la metro, è la metro che aspetta te, quasi ogni cinque minuti. Mi metto bene bene in fila ai lati della porta automatica, per fare uscire quelli seri, che avevano la sveglia ben prima delle 5. Salgo io, mi siedo. Il caffè deve ancora entrare in circolo e sarebbe pericoloso mettere alla prova la mia lucidità mattutina stando in piedi. Guardando fuori dal finestrino si vedono le solite luci intorno al Gürtel, come sempre quando il sole dorme. Macchine che viaggiano spedite intorno a Vienna, correndo a scuola, al lavoro, all’università. Mi sono sempre domandato cosa se ne faccia un Viennese della macchina. Wiener Linien dovrebbe soddisfare ogni desiderio di puntuale mobilità. Boh. Arrivo a Niederhofstraße. Ci sono già stato Mercoledì, il giorno prima, quando l’ufficio era ovviamente chiuso. Non ero l’unico ad essere lì per sbaglio, eravamo in sei o sette. Tutti allegramente sorpresi di quanta poca fila ci fosse. Ero orgoglioso e già maledicevo chi mi aveva descritto una coda lunga ed interminabile. Poi il sogno si interrompe. “Oggi è chiuso” ci redarguisce una simpatica signora che trasporta un gigante thermos di bevanda calda, “tornate domani”. Come darle torto, è scritto chiaramente ovunque che il Mercoledì l’ufficio è chiuso. Sono tornato a casa allora, stanco ma non assonnato, dopo il caffè. Ho preso sonno alle otto.

Ma oggi è diverso. Oggi è il giorno giusto. Conosco già la strada quindi velocissimo mi dirigo verso il Magistrat superando una graziosa ragazza che poi ritroverò in fila cinque minuti dopo. Fortunatamente la fila è ancora dentro l’edificio, non strabocca fuori al gelo. Bene, caldo riparo. Arriva la ragazza che avevo superato. Mi chiede se è il posto giusto. Chiedo a un corriere DHL, come suggerisce il logo sul retro del suo giaccone. Non sembra capire il tedesco nell’immediato, forse colpa della mia mascella addormentata. Alla fine annuisce, si rimette le cuffie. Io sorrido alla ragazza e lo imito. La fila oggi è parecchio grossa, ma meno spaventosa di come me la avevano descritta.

Sono le 6. L’ufficio aprirà alle 8 e già il giroscale è pieno. Arriva altra gente. La fila inizia ad allungarsi su se stessa. Tutti compressi nella hall per evitare il freddo pungente fuori dall’ingresso. La cosa sembra turbare una energetica signora dell’est che con passo deciso si avvia alla cima della coda, costringendo tutti i presenti a stringersi. Noi ultimi avanziamo. La ringrazio. Mi ignora e apre il suo zainetto. Ne tira fuori due libri: uno lo stende per terra, a mo di cuscino e vi si siede sopra. L’altro è un libro di grammatica tedesca. Lo apre e legge, alle 6.15 del mattino. Ammiro la dedizione di chi, a quella età, il tedesco non lo studia per diletto o per costrizione, ma per necessità. Estrae una mela dallo zainetto. Mi darebbe la idea di essere una insegnante, ma allo stesso modo una tipica ed energica signora Trentina di mezza età, come se ne vedono tante nella mia cittadina natale.

Nel frattempo il corriere, io e la ragazza ci siamo appoggiati al muro. Cerchiamo di resistere in piedi, quando ormai sono le 6,30. Il corriere è il primo a cedere. Dopo numerosi tentativi di trovare una posizione comoda, tra cui un breve e perfetto squat, si abbandona sul freddo pavimento. Credo sia asiatico, anche se non saprei dire di che parte del continente. La ragazza affianco a me apre un libro e alterna la lettura di questo alla tipica ricerca del nulla su Instagram, scorrendo passivamente foto altrui. Sento delle voci. Interrompo AnnenMayKantereit. Tolgo le cuffie per ascoltare. In un primo momento pensavo fosse il ragazzo al fianco del corriere. In realtà le voci provengono dal piano superiore, qualcuno che discute in una lingua slava, molto simile al serbo. Il ragazzo vicino a me sta in effetti parlando, tra sé e sé. Maledice, immagino, i suoi connazionali che strillano sul giroscale di prima mattina. Scendono ed escono entrambi a fumare. Silenzio. Mi rimetto le cuffie. A un certo punto non resisto più. Guardo l’orologio. Sono le 7.15. Una ora e un quarto in piedi non è eccessivo, ma è sufficiente. Decido di sedermi al fianco del corriere. La ragazza, stoica, resiste. La signora dell’est nel frattempo ha deciso di dilettarsi nella nobile arte dello stretching a freddo. Mette le mani sullo scorrimano e cerca il allungare il suo corpo il più possibile. Poi passa ad esercitare le caviglie. Mi pare esageri un poco. Tuttavia non sembra soddisfatta. Inizia a fare avanti e indietro nella porzione libera di scale, disturbando un altissimo ragazzo che in quel poco spazio aveva trovato rifugio per se e le sue cuffie.

Nemmeno il tempo di abituarsi alla temperatura del pavimento e già aprono l’ufficio. Inizia il pellegrinaggio, scalino dopo scalino, sotto la luce bianca dei neon da ospedale che illuminano la folla. Nel frattempo una ragazza bionda e un ragazzo forse turco sembrano aver fatto amicizia. Racconteranno forse ai loro figli di come si sono conosciuti all’ufficio immigrazione. Storia romantica, lineare con un paese come la Austria che sembra aver deciso di far vivere gli immigrati negli uffici della burocrazia. In Germania è diverso, mi raccontava il mio coinquilino serbo-bosniaco. In Germania sono più elastici. Paradossale, ma sembrerebbe vero. In realtà non sono terribilmente lenti. Dopo poco è il mio turno. Tolgo le cuffie. Mi trovo di fronte a una ragazza che avrà la mia età, bionda e tipicamente austriaca. Mi chiede con fortissimo accento austriaco cosa devo fare. Anmeldebescheinigung rispondo. “Per lei? E’ la sua prima volta qui?” Annuisco a entrambe le domande. A quel punto lancia uno sguardo al signore assonato e triste che la affianca. Il signore stacca un pezzetto di carta da una lunga striscia e me lo consegna. Sono B022. Mi invitano ad aspettare nella sala.

Sono le 8 ormai. Puntualissimi. Trovo posto dietro una giovane coppia di ragazzi, anche loro parlano una lingua slava. Sembrano benestanti. Nel frattempo vedo la ragazza dello smistamento interrogare gli avventori. Ad alcuni viene chiesto il paese di provenienza, ad alcuni no. La risposta in ogni caso è quasi sempre “Serbia”. Si accomoda affianco a me un uomo di mezza età, vestito da cantiere. E’ un’operaio probabilmente. Sbircio il suo numero. Lui è C017. Chissà cosa deve fare. Riceve una telefonata. Risponde in un tedesco stentato. Il volume del telefono è talmente alto che riesco a distinguere nettamente ogni parola sua e dell’altro interlocutore. E’ il suo capo, ed è parecchio arrabbiato. A quanto pare questa cosa di assentarsi da lavoro per andare all’ufficio immigrazione non gli è andata giù. Dovrà recuperare il turno perso, Venerdì o Sabato. “Bitte nicht am Samstag, Chef” lo prega l’operaio. Il datore non sembra particolarmente ben disposto, a tratti proprio maleducato. Chiudono la telefonata con la promessa di sbrigare la pratica il più presto possibile e di trovarsi poi in cantiere, appena finito.

Nel frattempo si sono fatte le 8,30 come mi fa notare il mio stomaco. Decido di andare al supermercato un momento. Siamo al B07. Non c’è fretta. Torno con un litro di succo alla pera e due cornetti alla nocciola. Non male. Decido di finire il succo sul giro scale, con calma. La mia calma viene infranta nel momento in cui mi accorgo dei bambini che lì stanno giocando. Un papà africano e una mamma probabilmente slava, sorvegliano i rispettivi figli mentre si rincorrono sulle scale. Entrambi i bambini hanno una energia pazzesca. Vengono rimproverati in tedesco, forse perché la lingua si presta particolarmente al rimprovero. Si divertono. Mi mettono il buon umore ma mi sento in mezzo al gioco, decido di rientrare. Riprendo il mio posto al fianco dell’operaio. Riceve un altra telefonata, stavolta è una persona amica. Si sfoga nella sua lingua madre. Rimetto le cuffie. Sento qualcosa toccami il polpaccio. Mi spavento. E’ uno dei due bambini. In qualche modo sono entrati nella sala di attesa e ora strisciano sotto le sedie dei presenti. Sorrido. Tutti sorridono. Noto che un ragazzo ha difficoltà con delle carte, si rivolge a due connazionali ben felici di aiutarlo. Prendono posto a uno dei piccoli tavoli sparsi per la sala e si mettono a compilare insieme un modulo. Li raggiunge una terza signora. La compilazione diventa un solidale lavoro di gruppo. L’operaio termina la chiamata, ma ne riceve una altra poco dopo. Il suo capo, ancora. Vuole sapere a che punto è della fila. In effetti si sono fatte le 10 nel frattempo. L’operaio, ovviamente, non può saperlo e così risponde al datore. Contrariati entrambi per diverse ragioni, decidono di risentirsi.

Io monitoro la situazione numeri. Apparentemente non bene perché siamo già al B021. Sono il prossimo. B022. Mi alzo e vado nella stanza assegnatami. La 1.05. Solo in Austria possono identificare la sale con i decimali. Mi accoglie un gruppo di persone che avranno la mia età. Una mi fa cenno di avvicinarmi. Mi siedo e inizio a tirare fuori carte e documenti. E’ soddisfatta, mi pare. Dice alla collega apprendista che ho fotocopiato tutto molto bene. Ci credo, sono stato attentissimo. Non volevo una altra sfida mattutina con la burocrazia austriaca. Ritiro la mia Anmeldebescheinigung e saluto cortesemente, dopo aver pagato 29 euro. Lascio l’ufficio alle 11. Me ne vado un po’ sollevato e un po’ amareggiato, perché per una mattina mi sono sentito parte di una comunità e mi è piaciuto. Non saprei definire che comunità. Come fosse una allegra seconda classe di residenti, quella degli immigrati. Anche io sono un immigrato qui, anche se comunitario. Per fortuna comunitario. Non so se posso dirlo con certezza, ma in certa misura è stata una piccola esperienza formativa. Capisci cosa vuol dire essere “straniero” e forse impari che non è facile e magari impari anche che a volte è meglio pensare prima di parlare di immigrati e immigrazione.

Leonardo Torelli

Nasco a Padova nel 1997, ma ne conservo un vago ricordo perché subito ci trasferiamo a Rovereto dove cresco e vivo. Studio a Bologna giurisprudenza, con un occhio di riguardo per tutto quello che è scienze politiche. Sono appassionato di calcio e quando non tifo l’Inter, gioco con gli amici. Mi piace molto il tedesco e mi interesso dell’est Europa, due ragioni che mi hanno portato a Vienna con il progetto Erasmus.

Scritto da Leonardo Torelli

Nasco a Padova nel 1997, ma ne conservo un vago ricordo perché subito ci trasferiamo a Rovereto dove cresco e vivo. Studio a Bologna giurisprudenza, con un occhio di riguardo per tutto quello che è scienze politiche. Sono appassionato di calcio e quando non tifo l’Inter, gioco con gli amici. Mi piace molto il tedesco e mi interesso dell’est Europa, due ragioni che mi hanno portato a Vienna con il progetto Erasmus.

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