Italiani all'Estero 2 commenti

Cos’è la felicità? Chiediamolo alla Danimarca (parte 3)

felicità-italia-austria-danimarcaDopo aver riportato alcune informazioni preziose per comprendere la realtà di oggi, nelle due parti precedenti di questo articolo si è posta l’attenzione su alcune caratteristiche comuni alle organizzazioni amministrative dell’Italia e dell’Austria. Ogni cittadino dovrebbe infatti sapere come è composto lo Stato e come funziona, per educare la propria coscienza civica, per essere rappresentato adeguatamente e contare qualcosa nelle istituzioni.

Invece, nonostante l’uomo della strada eserciti il suo diritto di voto, in realtà non conta quasi niente, innanzitutto perché quasi la metà degli incarichi politici sono “nominati”, mentre l’altra metà, come i Consiglieri comunali, non contano nulla. E poi perché viene ingannato dalla politica con slogan pubblicitari accattivanti ma pericolosi per la coscienza e l’interesse collettivi, in quanto si fa leva sull’irrazionalità delle persone, la paura in primo luogo. Nella migliore delle ipotesi si cambiano i nomi dei partiti e le facce di chi governa, ma la struttura è sempre la stessa, cioè inefficiente, costosa ed antidemocratica. In questo modo si vincono le elezioni, ma non si risolvono i problemi.

Al contrario, essi andrebbero affrontati razionalmente in un’ottica di lungo periodo, cioè analizzati, discussi e risolti con un approccio strategico, con la pianificazione progettuale. Per ridare vita all’Italia, all’Austria e ad un’Europa in crisi che pare avviata ad una dissoluzione senza fine, ci si chiede: che fare?

Chi scrive è convinto che la soluzione più logica e realistica consista nel ristrutturare l’attuale architettura del potere in modo che più democrazia, benessere e felicità diventino il più possibile i cardini dell’esistenza. Come? Basterebbe richiamarsi all’esperienza della Monarchia danese, la più antica d’Europa: è parlamentare, monocamerale, non appartenente alla zona euro, con 1.000 anni di storia alle spalle, seconda solo a quella giapponese per antichità.

Con 5,7 milioni di abitanti (in aumento), ha una superficie di 43 mila Kmq e una struttura amministrativa di soli 3 livelli. Ma il fatto più notevole è che si trova al 1° posto della classifica mondiale della felicità, come sopra anticipato. Sarà un caso, ma dal 2007 i Comuni sono stati ridotti da 270 a 98, parallelamente all’eliminazione delle 13 Contee, sostituite da 5 Regioni. L’impatto è stato fortissimo: i nuovi Comuni sono molto più estesi e hanno una media di quasi 60.000 abitanti/Comune, cioè 16 volte più popolati di quelli austriaci e 8 volte più di quelli italiani.

Con questa riforma amministrativa la Danimarca ha ottenuto un risultato strabiliante: ha riportato le decisioni sul territorio con meno costi amministrativi, più efficienza e servizi migliori. I territori sono più forti, più autonomi e più responsabili: è la democrazia più felice al mondo e i danesi hanno meno necessità di emigrare. Certo, non tutti si trasferirebbero là, ma la domanda è: chi ama veramente emigrare? Fino a prova contraria, la parola “emigrazione” rimanda sempre ad un senso di costrizione. O no? Si dirà che il più meridionale paese scandinavo è troppo diverso dall’Italia e dall’Austria e che la sua esperienza non si può replicare. Vero che i paesi sono diversi, ma un’amministrazione efficiente con meno livelli, meno enti e meno politici può diventare realtà: sia in Italia che in Austria i livelli amministrativi possono essere ridotti a 3 come in Danimarca, con Comuni più grandi e popolosi, un minor numero di Regioni/Stati Federali e un Parlamento monocamerale. Per avere più efficienza e servizi migliori: e sarà forse un caso che la Svizzera, il secondo paese più felice al mondo (1° nella classifica precedente) ha anch’esso avviato da anni un massiccio programma di fusione dei Comuni?

In un Paese moderno la democrazia esiste soltanto se vi sono due condizioni principali: 1) se i cittadini sono vicini ai luoghi in cui vengono prese le decisioni che li riguardano; 2) se i cittadini hanno gli strumenti per controllare l’operato di chi prende queste decisioni. Come in Danimarca (e in Svizzera), dove un’autentica “democrazia compiuta” (pur essendo una monarchia!) ha una struttura amministrativa trasparente, controllabile, omogenea, economica, più giusta ed ugualitaria. La Fusione dei Comuni è “LA” soluzione: in Italia 400-500 Amministrazioni comunali, in Austria 140-160, sono il numero giusto per presentarsi come gli unici enti decisionali del territorio, autonomi e vicini al cittadino (che potrà controllare), fornitori di servizi pubblici essenziali, efficienti, economici, accessibili alla maggioranza della popolazione a costi ragionevoli. Garanti di una buona qualità della vita, questi centri strategici, vere e proprie “Comunità”, sono la fonte di identità e senso di appartenenza al suolo, il “centro di gravità permanente” dell’esistenza dei suoi abitanti, da qualunque parte del mondo provengano e ovunque vogliano andare. La potremmo chiamare “Democrazia a Km0”.

Anche se vincesse Hofer.

Tomas Carini

Nato nel 1973 a Chivasso, dal 2014 vivo in Austria dove l'anno successivo ho trasferito la famiglia. Ricordo il passaggio del confine: "Papà andiamo in Slovenia?". Laureato in Filosofia a Torino, lavoro nel settore energetico. Fondatore e Segretario dell'Associazione culturale "Identità Comune", nel 2015 ho pubblicato "Democrazia a Km 0".

Scritto da Tomas Carini

Nato nel 1973 a Chivasso, dal 2014 vivo in Austria dove l'anno successivo ho trasferito la famiglia. Ricordo il passaggio del confine: "Papà andiamo in Slovenia?". Laureato in Filosofia a Torino, lavoro nel settore energetico. Fondatore e Segretario dell'Associazione culturale "Identità Comune", nel 2015 ho pubblicato "Democrazia a Km 0".

2 Commenti

  1. gabriele ha detto:

    L’idea è perfetta, peccato che gli italiani, specialmente i nostri politici, pensino più al loro orticello, che agli interessi della comunità. Vivo da oltre 7 anni in Austria e mi sono subito reso conto del senso dello Stato che hanno gli Austriaci, rispetto per l’ambiente. Credo che una buona educazione di base dovrebbe partire dalla scuola elementare, prima di tutto e dalle famiglie. Ma come sradicare mentalità obsolete consolidate in decine e decine di anni? Grazie Tomas per lo sforzo e l’impegno che metti costantemente per portare a noi nuovi emigrati momenti di riflessione e conoscenza. Gabriele Di Toma (Direttore d’Orchestra e compositore)
    http://www.gabrieleditoma.com

  2. Tomas ha detto:

    Grazie a te Gabriele per l’apprezzamento e complimenti per la tua fantastica attività.
    Credo che l’unico modo per “sradicare mentalità obsolete consolidate in decine e decine di anni” passi attraverso tre tappe: analisi, progetto, azione. Con l’analisi si fotografa la realtà, con il progetto s’immagina un’Italia migliore, con l’azione la si realizza. Banale, semplicistico? Può darsi, ma non vedo altre strade per non essere coautori del disastro. La consapevolezza, così come il benessere e la felicità non si raggiungono dall’oggi al domani. D’altra parte, mica possiamo aspettare che la mentalità cambi da sola, stando a guardare, mentre intanto le cose peggiorano. Un dato per tutti: in 3 anni i bambini poveri in Italia sono raddoppiati, passando da 700.000 a 1.500.000, cioè il 15% dell’intera popolazione minorile!
    Nonostante sia in Austria, mantengo i rapporti con i colleghi dell’Associazione culturale “Identità Comune” con i quali abbiamo realizzato http://www.identitacomune.it, ma anche http://www.portadelcanavese.it e pubblicato http://www.mondadoristore.it/Democrazia-km-0-Manuale-Tomas-Carini/eai978889835162/, presentato a febbraio (http://www.camagnapernoi.it/wp-content/uploads/2016/05/locandina-modificata_DEMOCRAZIA-A-Km0.pdf). Inoltre, il 9 luglio di quest’anno, insieme ad altre realtà analoghe di tutta Italia, abbiamo dato vita ad un Coordinamento nazionale in fase di costituzione.
    Mi chiedo allora: quanto è ancora lontana la fase della “realizzazione”? Ma la domanda vera è: iniziamo a fare qualcosa oggi per cambiare noi per primi la “mentalità” o aspettiamo ancora che altri bambini siano condannati alla povertà, all’assenza di prospettive, al degrado e all’abbandono, magari verso la criminalità o la droga?

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