Vienna, Parco del Prater, 1 maggio 1873. Una folla gremita ed impaziente ascolta il discorso di inaugurazione dell’Imperatore Francesco Giuseppe I. Un roboante applauso accompagna le ultime parole del monarca, la folla comincia a entrare, l’eccitazione è palpabile. É cominciata la quinta Esposizione Universale, la prima a Vienna, terza città, dopo Londra e Parigi, ad ospitarne una.
Cafè Central, 9 maggio dello stesso anno. Nel leggere il giornale a qualcuno va il caffè di traverso. Titoli a tutta pagina riferiscono del crack finanziario della Borsa, il più grande mai registrato fino a quel momento. Scioccante, perché avvenuto all’apice di un momento di crescita fulminea, verticale. La borghesia è in subbuglio.
Hotel Donau, stesso anno, stesso mese. Muoiono 8 persone che alloggiavano nelle camere dell’albergo. I medici confermano: si tratta di colera. É subito panico. I viennesi conoscono bene questa piaga, già abbattutasi quattro volte negli ultimi quarant’anni sulla città. Questa sarà l’ultima, benché falcidiante: in tutto morirono 2.893 persone.
Alla fine di quella maledetta estate Vienna si ritroverà malconcia e traumatizzata, alle prese con il conteggio delle perdite economiche, ma soprattutto di quelle umane. Ma andiamo con ordine.
Il grande ed atteso evento di quell’anno è la già menzionata Esposizione Universale, fortissimamente voluta dall’imperatore Francesco Giuseppe I, come apice di un processo che lo aveva visto al timone di una svolta epocale. Sotto la sua direzione la città era infatti trasfigurata. Nel 1858 erano iniziati i lavori di abbattimento delle mura interne, quelle che contenevano la città vecchia, con l’intenzione di costruire al loro posto uno sfarzoso boulevard, al fine di unire il nucleo urbano circostante a quello centrale.
Le due parti della città erano anacronisticamente separate da un ampio Glacis, una spianata in lieve pendenza, componente classica delle vecchia architettura di difesa. Si trattava di liberare la città da questa antica e pesante armatura, che ne rallentava i movimenti e ne dava un aspetto goffo e antiquato. Il sogno dell’Asburgo era quello di farne una seconda Parigi.
I lavori furono di proporzioni faraoniche e, sebbene la Ringstrasse (la circonvallazione interna) venne ufficialmente inaugurata nel 1865, proseguirono per oltre trent’anni. Numerosi sono gli edifici illustri costruiti negli anni successivi che si affacciano sulla Ringstrasse, tra i quali si contano il Municipio, il Parlamento, il Teatro cittadino e l’Università. In quello stesso anno veniva trainato da coppie di cavalli il primo tranvia della città.
Poteva questo nuovo gioiello nel centro dell’Europa passare inosservato? Nella mente dell’imperatore albergavano ben altri piani. Si presentava, proprio in quel 1873, l’occasione d’oro per mostrare al mondo la nuova Vienna, una città divenuta metropoli.
Iniziarono dunque i lavori per l’Esposizione Universale, la quale doveva rispecchiare, secondo il grande disegno dell’Imperatore, quello stesso anelito di magnificenza messo in mostra dalla costruzione della Ringstrasse. L’area utilizzata fu addirittura ampia cinque volte quelle della precedente manifestazione tenutasi a Parigi, per un ammontare di circa 116 mila metri quadrati. L’edificio più grande, il centrale “Industriepalast” arrivò a misurare un chilometro di lunghezza. Al suo centro fu eretta un’imponente costruzione a cupola, la “Rotunde”, che per molti anni fu la più grande in tutto il mondo, fino a quando non venne distrutta da un incendio nel 1937.
Un’assoluta novità rispetto alle precedenti edizioni fu la presenza di un padiglione dedicato all’istruzione e di uno che accoglieva quale tema il lavoro femminile, entrambi esempi di quell’aspirazione progressista della borghesia liberale che in quegli anni dominava la scena.
Alla riqualificazione del piano urbano, alla promozione di un’immagine di Vienna come città all’avanguardia, fanno però da contraltare i recenti episodi di erosione in campo politico. Sono anni costellati di insuccessi militari e di perdite territoriali significative. Non bisogna dimenticare che nel 1866 l’Austria aveva perduto, con la sconfitta nella Battaglia di Sadowa, la Guerra austro-prussiana, alla quale era connessa la Terza guerra d’Indipendenza italiana. L’Austria dovette così rinunciare al Veneto, il quale andava ad unirsi al neonato Regno d’Italia. Un anno dopo, nel 1867, l’autorità del Kaiser veniva messa in discussione anche all’interno dello stesso impero, e per di più da una componente storica, connaturata ad esso, l’Ungheria, la quale ottenne di essere considerata come un regno al pari di quello austriaco, sempre all’interno di una indivisa unità politica, nel disegno della cosiddetta Duplice Monarchia.
Tutto questo non fu d’intralcio alla galoppante crescita economica della Gründerzeit, nome con il quale si designa il periodo prosperoso della rivoluzione industriale dell’area austro-tedesca in pieno ‘800. Grazie al boom economico furono fondate circa mille società per azioni e numerose imprese di commercio. L’industria pesante moltiplicò il suo volume, in stretta connessione con la costruzione della ferrovia, che nella seconda metà del secolo aveva raddoppiato la sua estensione. Anche Vienna, naturalmente, godette di questo impulso verso l’alto, stimolato dalla rivoluzione urbanistica in atto. E’ emblematico il fatto che Heinrich Drasche, proprietario della fabbrica di mattoni Wienerberger, divenne l’uomo più ricco della città.
La sciagura, però, era proprio dietro l’angolo. Il cortocircuito finanziario del 1873 ebbe effetti devastanti che si trascinarono per i vent’anni successivi. Il mondo occidentale fece così la sua prima, poco gradita conoscenza con la Grande Depressione, fenomeno che faceva il suo esordio sulla scena mondiale. La grande avanzata economica aveva infatti avuto come corollario la diffusa pratica della speculazione, tanto perpetrata da insinuarsi perfino nella corte asburgica, dove ci scappò anche un morto illustre: Karl Wilhelm von Gablenz, generale di cavalleria dell’esercito imperiale, che caduto in disgrazia si suicidò con un colpo di pistola a Zurigo nel 1874. Perfino il fratello dell’imperatore, l’Arciduca Ludovico Vittorio, aveva speculato e perso ingenti somme.
L’Esposizione Universale cominciava dunque sotto i più funesti auspici. E la dose era destinata ad essere rincarata. Gli otto morti del Donau Hotel furono il preludio ad una rovinosa epidemia di colera, una malattia che aveva fatto conoscere i suoi effetti esiziali in Europa per tutto l’Ottocento. A Vienna furono quattro le epidemie abbattutesi sulla città prima di quella in questione, negli anni 1836, 1849, 1854 e1866, e costarono la vita in tutto a circa 18.000 persone.
Un adattamento delle misure anti-contagio a questo nuovo bacillo (ferme ancora ai tempi della peste) che prevedeva la disinfezione attraverso agenti chimici di bagni pubblici e canali, insieme alle scoperte scientifiche sulla malattia del batteriologo tedesco premio Nobel Robert Koch, fecero sì che questa fosse l’ultima grande epidemia della città. Tuttavia, quei primi casi di colera portarono a disdire in massa le prenotazioni agli alberghi viennesi preposti ad accogliere i visitatori dell’Expo, e indussero moltissimi altri a tenersi ben lontani da Vienna.
L’epilogo di questa torbida estate, dunque, lo immaginiamo negli uffici del Hofburg a novembre. Francesco Giuseppe riceve i suoi esperti, con i quali analizza i dati riguardanti l’expo, il suo personale gioiello da mostrare al mondo. Il verdetto è tanto univoco quanto spietato: un fallimento. Dei venti milioni di visitatori stimati ne vengono registrati solo sette. Le fantasie glorificanti dell’Asburgo vengono sensibilmente ridimensionate.
Immagini: Wikipedia Commons
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