Mi è sempre piaciuto l’autunno, fin da piccolo le giornate di fine settembre mi mettevano allegria, nonostante l’estate dei giochi dovesse lasciare spazio alla scuola.
Ancora adesso questa è la stagione che preferisco e così, in una mattina quasi autunnale, sotto una lieve pioggia e un cielo grigio, accompagno Martino a scuola, Marianna all’asilo e salgo sul treno diretto per Klagenfurt, dove il giorno dopo, sabato 21 settembre, si corre il Wörthersee Trail Maniak.
Sul treno mi gusto il paesaggio, sfoglio giornali, ascolto musica, ma soprattutto mi leggo il racconto che il mio caro amico Fabrizio mi ha inviato al termine della sua gara attorno al Monte Bianco. Una frase mi colpisce, quella in cui Fabrizio descrive i giorni prima della gara:
“Ancor prima di vivere l’attimo, la montagna sapeva come toccare le nostre corde emozionali: non sono forse il sognare o l’attendere, un dono meraviglioso già di per sé?”
Già, Fabrizio ancora una volta con la sua sensibilità, con poche parole ha dipinto lo stato d’animo che mi pervade in questo viaggio. E mi ripeto nella mente le sue parole mentre Klagenfurt si avvicina.
Arrivato in città, lascio il mio zaino nell’alberghetto che ho prenotato e mi avvio verso il lago dove si trova il centro organizzativo della gara per ritirare il pettorale. Arrivato nella “Trail City”, come è stata battezzata l’area, noto le differenze rispetto alla Veitsch Alpinmarathon, che ho corso lo scorso giugno con l’amico Igor. A Veitsch l’organizzazione era molto più rustica, ma comunque simpatica ed efficiente.
Qui tutto è curato e professionale (effettivamente, il costo d’iscrizione è ben il doppio). Ritiro il pettorale e il pacco gara, che contiene tra l’altro una bella maglietta con la poco scaramantica scritta FINISHER, e mi mangio un piatto di pasta offerto dall’organizzazione in riva al lago. Il sole scalda parecchio e ora non sembra più che l’autunno sia alle porte.
La mattina successiva la sveglia suona presto e alle 6, nella sala colazione dell’albergo incontro diversi altri concorrenti. E così, stupito nel vedere tanta gente a quest’ora di mattina, strizzata dentro pantaloncini e magliette aderenti e coloratissime, il padrone dell’albergo domanda informazioni sulla corsa. Ha l’aria di chi ci giudica degli svitati che non hanno nulla di meglio da fare, e magari ha ragione!
Esco dall’albergo e l’aria fresca mi sveglia definitivamente.
In attesa della partenza, per scaldarmi un poco, cammino sul lungolago e la mia vista è inevitabilmente catturata da piccoli nuclei familiari e coppie di fidanzati in cui i bimbi e le mogli o le compagne incoraggiano e riscaldano in un abbraccio i loro papà prima del via.
Non posso negare di invidiarli, mi manca la gioia di poter vivere un momento così e quindi, con discrezione, rubo con gli occhi un briciolo della loro intimità e la faccio mia. Vengo riportato alla realtà dopo pochi minuti dalla musica degli AC/DC che richiama i corridori verso la partenza e, con Thunderstruck in sottofondo, lo speaker incomincia il conto alla rovescia: “Ziehen, Neun,…Fünf,…Drei, Zwei, Eins! Los Geht’s”.
Poche centinaia di metri sul lungolago e ci si tuffa nel bosco. Fa ancora freddo, ma non c’è vento e cosi ci si riscalda in fretta. Mi godo l’autunno che qui, nel bosco rivolto a sud e cotto dal caldo dell’estate, è decisamente cominciato: le foglie cadute frusciano sotto i piedi, la terra umida e i funghi emanano un il loro profumo caratteristico.
Dopo un tratto di qualche chilometro a saliscendi arriva la prima discesa su un bel sentiero terroso: mi lancio! Favoloso, non sono mai stato un discesista, eppure qui è come se stessi compiendo una metamorfosi, scendo veramente a velocità doppia rispetto ai molti concorrenti eppure avverto sicurezza e ne sorpasso parecchi, balzando con entusiasmo tra sassi e radici. Mi chiedo se gli allenamenti dietro casa, su e giù dall’Hameau e dall’Hermannskogel stiano dando i loro frutti.
Al termine della discesa mi chiedo anche se ho esagerato, perché so che c’è il rischio che i quadricipiti mi presentino il conto nella seconda parte della gara. Non fa nulla, non mi risparmio e così farò per tutte le discese del percorso, fino all’ultima, senza avvertire particolari sofferenze. Quindi, grazie Wienerwald!
Poco dopo il 20km, ad un ristoro acchiappo un bicchiere convinto che sia un integratore salino…ma, appena buttatone giù un sorso mi accorgo che è Red Bull. E certo, non poteva mancare la bevanda nazionale. Poco dopo, sposto gli occhi più in là e vedo un bel vassoio di cetrioli, cosa mai vista in nessuna delle gare cui ho partecipato finora. E così decido di completare la mia nemesi austriaca e ne acchiappo due belle fette, olé! In effetti l’esperimento funziona, tanto che ne prenderò sempre qualche fetta anche nei ristori successivi per avere in bocca un sapore diverso da quello dei seppur utili integratori.
Ripartito, costeggio una casa con due alberi di mele che hanno lasciato cadere i loro frutti a terra, il profumo inebriante accompagnato dal sole tiepido mi emozionano ed entusiasmano ancora di più. E altrettanto lo fa il tratto che costeggia il piccolo Forstsee, anch’esso irradiato di sole. E rallento volutamente, mi fermo per gustarmi il momento. Non c’è fretta, anche se sono in gara non c’è proprio motivo di trascurare il piacere di godere delle bellezze della natura. Sono qui innanzitutto per questo.
“Atterrato” a Wenden, dopo una bella e veloce discesa, avverto un contrasto marcato con quanto vissuto finora: l’atmosfera selvatica del bosco qui, attraverso i vicoletti e il lungolago, scompare naturalmente per lasciare spazio a rumori e colori caratteristici di un posto elegante e tranquillo, forse un po’ troppo patinato per i miei gusti, ma non così tanto da infastidirmi.
Tra i passanti colgo diverse voci italiane e immediatamente un pensiero mi interroga:
“chissà se sono alcuni dipendenti di quelle famose aziende fuggite dalla povera Italia per approdare in Carinzia, attratte da una fiscalità più favorevole e infrastrutture più moderne”.
Con questo pensieri in testa, mentre termino il tratto sul lungolago per rientrare nel naturale abbraccio del bosco, mi rendo conto di essere proprio fortunato. In effetti io sono arrivato a Vienna per scelta con un buon lavoro già in tasca e non in fuga dall’Italia, come invece diversi giovani connazionali di cui leggo su internet le fatiche e spesso le delusioni.
Corro su un bel sentiero in saliscendi, tratti con alberi fitti si alternano a piccole radure e osservo quanto il bosco qui, sul lato opposto del lago, quello che guarda a Nord, sia differente dal precedente. Qui la vegetazione è ancora decisamente rigogliosa, viva, è ancora estate. Come se il bosco voglia concedersi un ultimo momento di verde trionfo al termine di un’ estate troppo calda.
E arriva anche il momento della salita al Pyramidenkogel, la più lunga di tutta la gara. Poca cosa rispetto ad altre salite che ho affrontato in altre gare, sulle mie amate Grigne nel lecchese per esempio, ma ci sono già 35km nelle gambe e più di 20 ancora da fare. Non si corre quindi, solo un bel passo svelto e qui gli allenamenti sul Kahlenberg danno qualche frutto.
In effetti Vienna non ha grandi montagne attorno, ma rispetto a Milano è un paradiso da questo punto di vista. In vetta al Pyramidenkogel, uno sguardo veloce all’Aussichtsturm col suo scivolo elicoidale e al Wörthersee sottostante e un bel bicchiere di mineral sportsuppe tiepida (un’altra delikatessen austriaca) e giù, di nuovo veloce in discesa.
La stanchezza si fa sentire, ma tutto sommato le gambe girano ancora bene: sarà merito dei rustici cetrioli o dei supertecnici pantaloncini compressivi che indosso per la prima volta? Forse entrambi, ma il vero doping è l’entusiasmo: legale e oggi abbondante.
Il percorso ci fa costeggiare un piccolo lago dove vedo un ragazzino che pesca: tre canne appoggiate sui treppiedi e lui seduto su una sdraio a giocare o mandare messaggi col telefonino. E allora penso a mio nonno, a quando mi portava a pescare sull’Adda: io non riuscivo a stare fermo con la canna da pesca in mano, correvo e saltavo e facevo cadere sassi in acqua, altro che telefonino. Pochi pesci ma tanta gioia.
Mi scuoto: sto diventando bacchettone e melanconico, forse per via della stanchezza. E allora spengo i pensieri e mi metto gambe in spalla (si fa per dire…) e via verso il traguardo.
L’ultimo chilometro è accompagnato dalla musica che proviene dal traguardo che cresce col diminuire della distanza. Un piccolo crampo dispettoso ferma però la mia corsa a poche centinaia di metri dal traguardo. Nulla di grave, quattro passi e riprendo a correre sempre più veloce (ancora: si fa per dire…). Salgo sulla passerella galleggiante molto scenografica per gli ultimi venti metri fino alla linea di arrivo: è fatta! Tra poche ore si torna a vedere i sorrisi di Mirella, Martino e Marianna.
In conclusione, qualche numero: il Trail Maniak Wörthersee è lungo 57km, con 1800m di dislivello positivo (la cosiddetta salita). Ho impiegato 6h 39′ 45“, arrivando 76mo su 223. All’interno della medesima manifestazione ci sono anche corse più “brevi”, da 30km e da 15km
Complimenti Michele! Mentre leggevo il tuo racconto provavo le emozioni e la fatica della corsa e sentivo gli odori del bosco!
Anche io mi sono allenata sul Kahlenberg per la Camignada poi Siè Refuge nelle Dolomiti venete. Mai provata?
Ciao Margherita,
Mi fa piacere che ti sia piaciuto il piccolo racconto. E che anche tu apprezzi il seppur piccolo Kahlenberg.
No, non ho mai corso la Camignada sebbene mia moglie sia proprio nativa di Auronzo di Cadore. Dovro’ ben correrla prima o poi per non venire disconosciuto dalla sua famiglia….
Complimenti Michele per la gara, racconto bellissimo e splendide foto. Se quando torni in Italia ti porterai un vasetto di cetrioli come Jause, vuol dire che sarai già pronto per la cittadinanza onoraria austriaca. Alla prossima, ciao.