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Il Narrenturm di Vienna: storia e curiosità della “torre dei folli”

All’interno del Panopticon tutti i detenuti sono consci del fatto che in ogni momento potrebbero essere osservati. Questo grazie alla forma circolare della struttura, nella quale tutte le celle sono rivolte verso il centro, occupato da una torretta presidiata dai carcerieri. In tal modo, uno o pochi guardiani sono in grado di controllare tutti i detenuti, senza che costoro possano avere la certezza di essere sorvegliati in questo o in quell’altro momento. Questo carcere non esiste, se non nei progetti e disegni del filosofo e giurista inglese Jeremy Bertham, che lo concepì nel 1791, sebbene ve ne siano alcuni sparsi nel mondo che a questo modello si ispirano.

A ben vedere il Narrenturm di Vienna, la “torre dei folli”, non ha molto in comune con il Panopticon berthamiano, salvo per la sua architettura circolare e per il fatto che alcuni dei suoi pazienti, i “tobende Irren“, vale a dire i malati più gravi preda di deliri, erano di fatto trattati come detenuti, spesso messi in catene.

Questo Irrenhaus (manicomio), voluto fortemente dal Kaiser Giuseppe II, aprì i battenti nel 1784 e fu la prima struttura a livello mondiale specializzata nel trattamento di malattie psichiatriche. Sorse nel vecchio complesso ospedaliero, che oggi ospita il Campus universitario, e l’imperatore, costantemente all’opera per arricchire la capitale del suo impero sia in senso innovativo che estetico, arrivò a finanziarne la costruzione di tasca propria.

Le teorie che stanno all’origine di questa scelta ci portano, ancora una volta, a parlare della particolare architettura dell’edificio. Pare infatti che l’imperatore, in quanto membro della Massoneria, avesse una particolare inclinazione per la Cabala, e che dunque avesse plasmato l’edificio dandogli un preciso codice numerico, impresso in alcune delle sue misure. Ad esempio il perimetro dell’edificio misura 66 Wiener Klaftern, unità di misura austriaca corrispondente all’antica “tesa” (il 66 è nella tradizione araba il numero di Dio), mentre il numero delle camere per piano è di 28, che nella Cabala significa “Dio che cura i malati”. Tali illazioni, più o meno accreditate, sono ben assimilabili alla natura stessa dell’edificio ed alle funzioni ad esso adibite, che fanno sì che ancora oggi il Narrenturm sia avvolto da un fascino cupo, spettrale.

A ciò contribuisce senz’altro l’uso che ne viene fatto da qualche decennio a questa parte. Al suo interno è stata infatti allestita nel 1971 una collezione di anatomia patologica, visitabile solo se accompagnati dalle guide della struttura, il mercoledì e il sabato. Sugli scaffali nel lungo corridoio circolare su cui affacciano le vecchie celle, si alternano riproduzioni a vere parti anatomiche quali scheletri o organi sotto spirito. Un piccolo museo degli orrori, che mette in mostra l’esizialità di patologie oggi debellate, che un tempo deformavano l’aspetto delle persone causandone spesso la morte. La scienza medica aveva molto terreno da recuperare rispetto alle sue avversarie mortifere, mentre l’insalubrità della vita in città mostrava quanto nocive fossero le sue conseguenze.

In qualche caso la malasorte univa alle difformità della natura i suoi tragici effetti, come l’esemplare di busto affetto da Situs Inversus, condizione congenita nella quale la posizione degli organi è invertita all’interno del corpo. Naturalmente tale disturbo non è mortale, fatto salvo, come nel caso in questione, per una mancata diagnosi di appendicite, assolutamente esclusa dai medici dell’epoca in quanto i dolori del paziente provenivano dal lato sbagliato dell’addome.

Muovendosi nello stretto corridoio l’attenzione viene distratta di tanto in tanto dalle porte di legno massiccio con guarnizioni in ferro che escludevano le camere dei pazienti dal resto della struttura a guisa di prigionieri. Queste erano di dimensioni ridotte e contenevano, a seconda della disponibilità economica del paziente, uno o più ospiti. Non vi erano sbarre alle finestre e le celle, nonostante fossero dotate di riscaldamento, venivano all’occorrenza lasciate preda del gelo invernale. Questo per un motivo terapeutico, secondo il quale le basse temperature avrebbero controbilanciato gli umori caldi nei corpi dei pazienti, calmandoli. Come tragica conseguenza molti si ammalavano di polmonite.

Non tutti però vivevano come reclusi. Molti pazienti avevano libertà di muoversi nei corridoi e atrii della struttura, fino addirittura in giardino, attorno al quale fu eretto un alto muro per nasconderli agli occhi indiscreti di passanti e curiosi. Altra sorte toccava ai malati più gravi: per costoro le camere erano attrezzate con anelli di ferro al pavimento ai quali venivano incatenati, prima dell’introduzione delle camicie di forza. Data l’inesistenza della psichiatria come scienza medica, i trattamenti riservati ai pazienti erano ancora di tipo fisico e prevedevano l’impiego di purghe, salassi e idroterapia. Ad ulteriore prova di questa rudimentalità vi è anche il fatto che solamente nel 1817 fu assegnato un primario alla guida della struttura, mentre fino a quella data la gestione veniva affidata a giovani medici che lavoravano principalmente nell’ospedale adiacente.

Il Narrenturm cessò di ricoprire le sue funzioni originarie nel 1870, quando fu eretto un nuovo ospedale psichiatrico. Nel 1920 fu adibito ad alloggi per il personale ospedaliero dell’Altes AKH, l’ospedale adiacente, fino al 1971, anno di allestimento della collezione di anatomia patologica.

Immagine (c) Unukorno / Wikipedia

Scritto da Michele Musso

Nato a Milano e cresciuto tra Lombardia ed Emilia Romagna, si laurea in Storia all'università di Bologna. Vive a Vienna dal novembre del 2013, dove studia, lavora e combatte la "crisi del quarto di secolo" a colpi di Ottakringer e biciclettate sulla Ringstraße.

2 Commenti

  1. Claudia ha detto:

    Complimenti,articolo molto interessante!

  2. elisabetta palmitesta ha detto:

    grazie Michele per questo bell’articolo su un argomento di nicchia molto interessante, che arricchisce le mie informazioni su Vienna.

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